domenica 29 novembre 2020

SULLA PANDEMIA Lo sguardo dello storico


Sul New York Times  è apparso recentemente un articolo , poi ripreso e tradotto in Italiano da Internazionale, intitolato “Quando e come finisce una pandemia”. L’articolo (i link per leggere entrambe le versioni li trovate qui sotto) individua due momenti distinti in cui, storicamente, finisce una pandemia: da un lato le epidemie hanno un epilogo sanitario, quando cioè i contagi e le morti si fermano, dall’altro esiste anche una fine sociale dei periodi emergenziali, quando la popolazione si stanca di vivere col panico e inizia a convivere con la malattia. Questo meccanismo si sta riproponendo anche per il Covid-19, come dimostrano le manifestazioni contrarie alle misure previste dai recenti Decreti del Presidente del Consiglio e quelle più folcloristiche dei “negazionisti” e il loro attivismo sui social media.  Il confronto con la “Spagnola” forse ci può aiutare a capire meglio cosa si intenda per conclusione sociale di una pandemia. Nel 1918 l’influenza mortale piombava su un mondo pronto a ripartire dopo la devastante guerra mondiale. In quel caso la conclusione fu “sociale”, non c’era la forza per sopportare altri eventi terribili come la Guerra. Giovanni Battista Ferreri (1873-1946), notabile di Pradleves, mentre quella febbre terribile, all’inizio del 1919, mieteva vittime anche nella comunità della valle Grana, chiedeva al parroco di sospendere la pratica della “campana a morto”. Ormai i decessi erano troppi, i rintocchi che annunciavano un trapasso sembravano quasi essere diventati l’unica colonna sonora della vita dei Pradlevesi, la gente era sconvolta, i bambini erano irrequieti e impauriti. Ferreri dava voce al desiderio di andare oltre la paura, oltre il contagio e la morte. Un segnale evidente che la popolazione si era stancata di convivere con il panico. 

Tre aspetti differenziano la pandemia generata dalla diffusione del Covid-19 dalla “Spagnola” o da epidemie più antiche. La prima è il cambiamento del rapporto che abbiamo con la Morte, un tempo compagna stretta della Vita oggi, invece, rimossa, innominabile, ridotta a evento privato, una tendenza che è andata di pari passo con la progressiva svalutazione di quelle forme rituali (come commemorazioni pubbliche, celebrazioni religiose, prefiche, ecc.) che permettevano di “socializzare” il trapasso di un membro della comunità. In secondo luogo lo sviluppo, in quasi tutti i paesi dell’Occidente ricco, di un sistema sanitario nazionale che, con la scienza, ha contribuito notevolmente all’aumento della vita media e reso quindi più insostenibile, perché eccezionale, la sofferenza. E infine la presenza di mezzi di comunicazione di massa e dei social media che amplificano, oltre i confini delle comunità, le frustrazioni per la limitazione delle libertà personali e permettono una rapida diffusione su ampia scala di teorie riduzioniste o negazioniste.

Ancora un aspetto rende il Covid-19 diverso da tutte le altre pandemie che hanno funestato la storia dell’uomo negli ultimi 2000 anni: la mortalità particolarmente bassa. La pandemia più terribile che l’Europa abbia mai conosciuto è la “Peste nera” che, nel Trecento, sconvolse il Vecchio Continente causando una diminuzione della sua popolazione di circa un terzo (si stima che la popolazione passò da 80 milioni a 55 milioni circa). Il brusco calo demografico portò più vantaggi che svantaggi ai sopravvissuti. I meccanismi ereditari, che frammentavano le proprietà, si interruppero, la difficoltà di trovare manodopera aumentò il potere contrattuale delle classi lavoratrici e quindi crebbero i salari. Il miglioramento del tenore di vita delle classi popolari fu considerevole. Insomma una tragedia umana permetteva il miglioramento della vita dei sopravvissuti.  Il Covid-19 non avrà l’effetto di aprire “spazi” e “possibilità” per chi sopravvive, anzi, sta generando una profonda crisi che non sarà “bilanciata” dalla minor disponibilità di manodopera.  

Le conoscenze storiche non ci permettono di capire se vedremo prima una fine “sociale” di un epilogo sanitario, per questa pandemia. Quello che si può però immaginare, e forse già intravedere, è che si apriranno scenari nuovi e, probabilmente, soggetti collettivi come donne e di giovani acquisteranno un ruolo sempre più importante. 


Diego Deidda Gabriele Orlandi


https://www.nytimes.com/2020/05/10/health/coronavirus-plague-pandemic-history.html 


https://www.internazionale.it/notizie/gina-kolata/2020/05/21/quando-come-finisce-pandemia?

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